Riportiamo una sintesi dell’intervento del prof. Grilli di Cortona
in Commissione Statuto, 22 marzo 2012
Uno degli argomenti contrari all’elettività del Consiglio di Amministrazione
(CdA) è che la Legge
240/2010, all’art. 2 c. 1, escluderebbe del tutto la possibilità di un organo
elettivo (salvo per la componente studentesca) e che questa scelta sarebbe
conseguente al fatto che non si è voluto incoraggiare la nascita un organo di
tipo corporativo. Ritengo, però, che se il legislatore avesse voluto escludere
l’elettività l’avrebbe scritto esplicitamente. I termini utilizzati nella legge
(“designazione o scelta”) sono estremamente vaghi e generali e non escludono
affatto l’elezione (che è un tipo di scelta, anche etimologicamente parlando),
peraltro prevista per i rappresentanti degli studenti. Ciò significa che la
norma, dopo aver previsto un Senato obbligatoriamente elettivo, in merito al
CdA ha voluto lasciare una certa discrezionalità agli atenei, pur permanendo
varie ambiguità nel testo della Legge. Dico solo di sfuggita, poi, che trovo
singolare questa degradazione del principio elettivo a corporativismo.
Innanzitutto, ricordo che non c’è alcuna sovrapposizione tra principio elettivo
e corporativismo e che, anzi, i regimi corporativi (ce l’ha insegnato la storia
dello scorso secolo) non hanno mai previsto elezioni aperte, democratiche e
competitive. In secondo luogo, è la
Legge a prevedere che il CdA sia costituito da diverse
“componenti”, inclusa una “rappresentanza” degli studenti: ed è proprio questa
composizione, semmai, che può alimentare forme di corporativismo, non le
modalità di formazione dell’organo.
Vengo, poi, al vero nodo politico della questione.
Negli ultimi 20 anni nelle università italiane si è assistito ad una crescita del ruolo, delle funzioni e del potere dei rettori. Tale crescita, conseguente alle leggi sull’autonomia e all’affermarsi della Conferenza dei Rettori come vero interlocutore dei ministri dell’Università (di fatto soppiantando il Cun, sempre più organo che fornisce pareri non vincolanti), trova una sua ulteriore conferma nella Legge 240. La quale, poi, sposta gli equilibri verso il CdA e a scapito del Senato: il CdA viene così a svolgere varie e importanti funzioni, quali la vigilanza sulla sostenibilità finanziaria delle attività, la competenza a deliberare su attivazione e soppressione dei corsi, l’adozione dei bilanci di previsione, il conto consuntivo, il controllo di legittimità e di merito sulle chiamate. Ora, delle due l’una: o il CdA viene inteso come la squadra di governo del rettore, oppure è un organo di controllo e vigilanza. Tutte e due le cose insieme non sembrano possibili. Mentre la prima ipotesi è perfettamente compatibile con un CdA nominato dal Rettore stesso, la seconda no: quale tipo di vigilanza e di controllo potrà mai fare un CdA di sostanziale scelta rettorale? E se non è il CdA ad esercitare funzioni di controllo sull’operato dei Rettori, chi mai lo farà? Si dice che a tale problema si può ovviare con l’assunzione di responsabilità (Rettore e CdA sono responsabili delle scelte che adottano): è una formula che non mi convince affatto e che in passato, di fronte ad atenei irresponsabilmente trascinati in crisi rovinose (tuttora in atto), non ha funzionato: si è mai sentito parlare, in quei casi, di “responsabili” e di “responsabilità”? Solo un CdA almeno parzialmente elettivo vede la realizzazione di un equilibrio e di un bilanciamento di poteri in grado di assicurare un minimo di controllo.
Negli ultimi 20 anni nelle università italiane si è assistito ad una crescita del ruolo, delle funzioni e del potere dei rettori. Tale crescita, conseguente alle leggi sull’autonomia e all’affermarsi della Conferenza dei Rettori come vero interlocutore dei ministri dell’Università (di fatto soppiantando il Cun, sempre più organo che fornisce pareri non vincolanti), trova una sua ulteriore conferma nella Legge 240. La quale, poi, sposta gli equilibri verso il CdA e a scapito del Senato: il CdA viene così a svolgere varie e importanti funzioni, quali la vigilanza sulla sostenibilità finanziaria delle attività, la competenza a deliberare su attivazione e soppressione dei corsi, l’adozione dei bilanci di previsione, il conto consuntivo, il controllo di legittimità e di merito sulle chiamate. Ora, delle due l’una: o il CdA viene inteso come la squadra di governo del rettore, oppure è un organo di controllo e vigilanza. Tutte e due le cose insieme non sembrano possibili. Mentre la prima ipotesi è perfettamente compatibile con un CdA nominato dal Rettore stesso, la seconda no: quale tipo di vigilanza e di controllo potrà mai fare un CdA di sostanziale scelta rettorale? E se non è il CdA ad esercitare funzioni di controllo sull’operato dei Rettori, chi mai lo farà? Si dice che a tale problema si può ovviare con l’assunzione di responsabilità (Rettore e CdA sono responsabili delle scelte che adottano): è una formula che non mi convince affatto e che in passato, di fronte ad atenei irresponsabilmente trascinati in crisi rovinose (tuttora in atto), non ha funzionato: si è mai sentito parlare, in quei casi, di “responsabili” e di “responsabilità”? Solo un CdA almeno parzialmente elettivo vede la realizzazione di un equilibrio e di un bilanciamento di poteri in grado di assicurare un minimo di controllo.
Alcune considerazioni finali. Vari atenei hanno optato per la modalità
elettiva del CdA, avviando un vivace contenzioso col Ministero. La questione,
dunque, è tutt’altro che risolta. Inoltre, la posizione ministeriale contraria
all’elettività è contestata da autorevoli prese di posizione in dottrina, fra
le quali quelle di C. E. Gallo, E. Follieri e F. Merloni. Infine,
un’impugnativa da parte del Ministero non provocherebbe alcun blocco della
attività dell’Ateneo, sia perché le impugnative sono relative al singolo
articolo e non a tutto lo Statuto, sia perché (lo si legge anche nei rilievi
ministeriali al nostro Statuto), deve continuare a funzionare il CdA in carica
fino all’entrata a regime del nuovo Statuto definitivo. Infine, il nostro
Ateneo ha deciso di non accogliere tutti i rilievi del Miur, ma alcuni di
questi (di legittimità, non solo di merito) sono stati respinti (per esempio,
sull’afferenza dei collegi didattici alle scuole, o sul ruolo delle facoltà
nella fase transitoria). Il risultato è che rischiamo comunque un ricorso del
Ministero, a prescindere da come rispondiamo sulla questione dell’elettività
del Consiglio di Amministrazione.
Pensiamoci.
Post originariamente pubblicato su Roma3 Discute il giorno 28 marzo 2012
Nessun commento:
Posta un commento
L’autore del blog dichiara di non essere responsabile per i commenti inseriti dai lettori, che saranno i soli responsabili delle proprie dichiarazioni, secondo le leggi vigenti in Italia