Sulle nuove procedure per le domande dei finanziamenti Prin (Progetti per la ricerca di interesse nazionale) sono già stati espressi giudizi abbastanza severi. Già la pudica denominazione di “Progetti Prin 2010-2011” costituisce la rappresentazione simbolica dello scarso impegno pubblico a investire nella ricerca e dei ritardi continui da cui è afflitta: il bando per i progetti di ricerca deve avere una cadenza fissa annuale e non può essere sempre lasciato ai continui rinvii e ai ritardi dell’amministrazione. Inoltre, è un grave errore rivedere le regole ogni anno, costringendo docenti e ricercatori a studiare ogni volta regolamenti nuovi e a familiarizzare con criteri non sempre chiari e cristallini: anche questo è un modo per scoraggiare e logorare la ricerca, ma pare che nessuno dei ministri che si sono succeduti in questi anni si sia posto il problema. Forse varrebbe la pena ricordare che in Europa le procedure per la presentazione e la selezione dei progetti non cambiano radicalmente ogni anno, anzi restano sostanzialmente immutate per almeno un settennio (si vedano i vari programmi quadro, il VII ancora in corso, Horizon che gli succederà dal 2014 al 2020). Perché non fare come in Europa?
Una critica riguarda poi anche quella parte della procedura – introdotta sempre con il Bando Prin 2010-2011 – che lascia agli atenei la prima fase della selezione dei progetti. La logica è quella di assicurare che alla fase finale di selezione arrivino pochi progetti e che ciascuna università selezioni un numero di progetti proporzionale al numero dei suoi docenti e ricercatori, come se tutte le università fossero davvero uguali e dello stesso valore (comprese quelle telematiche); il vero obiettivo, dunque, è quello di puntare a una riduzione del numero delle domande e di costringere il più possibile ad accorpamenti, come se fosse accertato che un minor numero di domande porti necessariamente a progetti migliori. Viene quindi spontanea la domanda: vogliamo davvero incentivare docenti e ricercatori a promuovere progetti e a farli di qualità, oppure vogliamo solo ridurre tutto al solito conteggio ragionieristico del risparmio a tutti i costi?
Tra gli effetti perversi della procedura introdotta con il bando Prin 2010-2011 vi è poi anche l’impegno degli atenei in un ulteriore processo decisionale, che si è aggiunto a quelli straordinari appena conclusi o ancora in corso. Voglio solo ricordare: 1) la trasformazione dell’offerta formativa; 2) la riforma degli statuti in seguito all’entrata in vigore della legge 240/2010; 3) la complessa gestione delle procedure di valutazione previste dall’Anvur per la valutazione della qualità della ricerca; 4) l’attuazione dei nuovi statuti, con l’eliminazione delle facoltà, la trasformazione dei dipartimenti, la ristrutturazione delle cariche direttive, ecc. L’ennesima riforma del Prin ha aggravato inutilmente il già evidente ingorgo decisionale, obbligando a nuove riunioni dei senati accademici, alla composizione di nuove commissioni, a nuove discussioni, alla formazione di nuovi criteri, ad un nuovo impegno del personale amministrativo preposto alle questioni della ricerca (e già impegnato – per citare sempre solo le questioni “straordinarie” – nel VQR). Gli atenei sono stressati dalle riforme che si accavallano negli anni (ogni Ministro punta a imporne una sua). A loro volta, docenti, ricercatori e personale tecnico e amministrativo sono stressati dalle riunioni, dalle commissioni, dai comitati, dai consigli, dalle assemblee e via discutendo. Col risultato che il tempo per studiare e fare ricerca non riescono più a trovarlo.
Detto tutto questo, poi, non sono affatto convinto che due diverse barriere di selezione (la prima interna agli atenei, la seconda a livello nazionale) sia la soluzione migliore. Anzitutto, nell’Unione europea i progetti di ricerca vengono direttamente presentati alla Commissione, senza alcuna preselezione a livello nazionale. In secondo luogo, con la procedura introdotta è del tutto prevedibile il rischio di creare contraddizioni tra i due livelli: certe sensibilità presenti a livello di ateneo (per esempio, la tentazione di “accontentare” tutte le aree) non sono presenti nel livello superiore, il che può creare (e creerà) distorsioni nei risultati finali. Infine, le modalità della preselezione locale (di ateneo) sono decise autonomamente dalle singole università, ossia dai loro organi di governo (Rettore, Senato accademico) e non pare proprio opportuno (anche per evitare possibili conflitti d’interesse) che siano gli organi di governo a decidere le modalità di selezione di progetti tra i quali è di fatto inevitabile che ce ne siano alcuni presentati da membri degli stessi organi.
Era chiaro, dunque, che i nodi dovessero venire al pettine. E infatti ecco una “nota del 14 giugno 2012 Prot. 533-12/P/rg del Presidente della Conferenza dei Rettori delle Università Italiane (CRUI), con la quale la Giunta della CRUI, tenuto conto delle decisioni del Consiglio Europeo per la Competitività del 31 maggio 2012 e della necessità di assicurare spazio adeguato alla ricerca nel settore dell'innovazione sociale, con particolare riferimento al tema della tutela del patrimonio e dell'identità culturale europei, auspica con forza che il Ministero possa considerare favorevolmente un incremento delle proposte ammissibili al finanziamento presentate in tali ambiti nei bandi PRIN e FIRB 2011”. Facendosi forte di questa nota, il Ministro Profumo ha emesso, in data 15 giugno 2012, un decreto di due soli articoli, nel quale (all’art. 1) decide: “A modifica di quanto previsto dal D.M. n. 1152/Ric. del 27 dicembre 2011, successivamente modificato dal D.M. n. 2/Ric. del 12 gennaio 2012, tutte le università, in aggiunta ai progetti già preselezionati, possono procedere alla preselezione, entro il 22 giugno 2012, di un ulteriore progetto relativo al settore dell'innovazione sociale, con particolare riferimento al tema della tutela del patrimonio e dell'identità culturale europei (Aree 10-11-14), purché già disponibile e correttamente presentato entro i termini previsti dal D.M. 2/Ric. del 12 gennaio 2012.” (leggi).
Non solo, dunque, si è consentito (con poche ore di tempo a disposizione) il ripescaggio di progetti rimasti esclusi in seguito a valutazioni comparativamente più basse; non solo si è permesso a ciascuna università (indipendentemente dalle dimensioni e includendo anche quelle telematiche) di aggiungere un ulteriore progetto; ma sono stai indicati anche i criteri con cui effettuare tale ripescaggio: che non sono, però, quelli relativi alle valutazioni ottenute all’interno degli atenei (includere il primo degli esclusi secondo la classifica, per esempio, sarebbe stato del tutto logico), ma sono invece criteri tematici, che riguardano alcune aree (10-11-14). Tale scelta sarebbe stata operata coerentemente con quanto deciso (è il suggerimento della Giunta della Crui) dal Consiglio Europeo per la Competitività del 31 maggio 2012. Senonché, incuriosito, sono andato e leggermi questo documento e non ho proprio trovato le tematiche individuate dalla Giunta della Crui, né i riferimenti a specifiche aree Cun. Il documento è lungo 25 pagine, vi si parla di molte questioni (si veda al sito ) compresa la ricerca, per la quale si fa riferimento a “Horizon 2020”, il Programma Quadro per la ricerca e l’innovazione per gli anni 2014-2020, che sostituirà il VII Programma Quadro (in funzione fino al 2013) (leggi). Ma neanche qui sono rintracciabili in modo così esclusivo i criteri a cui fa riferimento la Giunta della CRUI.
Qualche domanda, a questo punto, è lecita:
• Da dove hanno origine i criteri ministeriali che decidono l’entrata in gioco di un ulteriore progetto per ogni ateneo?
• Perché, dopo avere messo in piedi procedure di valutazione dei progetti (deboli e criticabili quanto si vuole, come alla fine lo sono tutte le procedure di valutazione), si è introdotto un criterio diverso?
• Siamo proprio sicuri che questo sia il modo migliore per sanare ingiustizie ed esclusioni non molto comprensibili?
• Non si è corso così il rischio che, invocando la ristrettezza dei tempi, sia stato possibile qualche ripescaggio effettuato al di fuori di criteri di valutazione preventivamente fissati?
Signor Ministro, non le pare che con questo decreto il rimedio sia peggiore del male che si voleva curare?
Post originariamente pubblicato su Roma3 Discute il giorno 25 giugno 2012
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