Uno dei dati più preoccupanti riferiti al nostro sistema universitario
nazionale è rappresentato dalla diminuzione degli immatricolati nelle
università. Dopo la crescita rilevata a seguito della riforma dei corsi di
laurea n. 509/1999, che consentiva il riconoscimento come crediti formativi
universitari anche di conoscenze e attività professionali certificate (art. 5,
comma 7 DM 509/1999), da dieci anni a questa parte si registra un andamento
decrescente degli immatricolati: per essere precisi, parliamo di ben 58.000
studenti in meno, pari al 17% degli immatricolati del 2003 (fonte: Cun 2013).
Il dato è preoccupante sia perché in Italia la percentuale dei laureati è
ancora al di sotto delle medie europee, sia per il risalto che esso assume di
fronte alla costante crescita dei diplomati: a fronte di un aumento dei
diplomati nelle scuole secondarie, sono sempre meno coloro che si iscrivono alle
università. Da rilevare, in aggiunta, che questo calo non è affatto compensato
dalla crescita degli studenti stranieri. Perché? Cosa sta accadendo?
Tra le varie cause ipotizzabili, ve ne sono tre che a mio avviso spiccano
per rilevanza.La prima è la crescente difficoltà dei laureati a inserirsi nel
mondo del lavoro. In sostanza: la laurea appare sempre meno significativa ai
fini di una collocazione professionale e alcuni corsi di studio sono davvero
poco utili per l’inserimento nel mondo del lavoro. Da qui si può capire perché
molti giovani preferiscono andare subito alla ricerca di un posto di lavoro
piuttosto che rimandarla di alcuni anni, pensando, evidentemente, di trovare in
futuro, comunque, maggiori difficoltà. E, d’altra parte, la scarsa propaganda
che gli stessi Atenei hanno fatto alla possibilità di essere studenti part-time
non ha incoraggiato chi avrebbe potuto considerare compatibile studio e lavoro.
La seconda causa è che il peso delle tasse universitarie, assai più alte
che in altri paesi europei, sta diventando, in tempi di crisi economica, sempre
meno tollerabile per le famiglie, il cui potere d'acquisto sta precipitando. La
terza è costituita dalla sensibile riduzione degli stanziamenti per il diritto
allo studio e per le borse di studio destinate a favore degli studenti capaci e
meritevoli ma privi di mezzi. Nel Lazio, le riduzioni sono state consistenti:
complessivamente, la spesa per il diritto allo studio è diminuita del 42% tra
il 2009 e il 2012. Nell'a.a. 2012-13, la percentuale degli assegnatari di borse
è diminuita del 28%, senza contare gli enormi ritardi nell'assegnazione. Mi
auguro proprio che il cambio del governo regionale segni un'inversione di
tendenza.
A tutto questo andrebbero sommati gli enormi disagi che docenti, studenti e
tutto il personale che lavora negli atenei hanno dovuto sopportare nel
passaggio da una riforma all'altra. Dal vecchio ordinamento alla riforma
509/1999, fino alla 270/2004 e alla 240/2010, cancellazioni di corsi, revisioni
di criteri, introduzione dei crediti formativi, accavallamenti di ordinamenti,
riforma e modifica delle strutture hanno creato una vera e propria giungla
normativa nella quale è sempre più difficile orientarsi. Infine (last but not
least), il taglio dei finanziamenti agli atenei negli ultimi anni (il Fondo di
Finanziamento Ordinario è in caduta costante dal 2009) ha fatto il resto,
costringendo gli atenei a ridimensionare il numero dei docenti, l’offerta
formativa e i servizi. In questa situazione, c'è da augurarsi che il futuro
ministro, adeguatamente sollecitato dalla Crui e dal Cun, prenda gli opportuni
provvedimenti per ridare fiato al sistema, ponendo un freno al susseguirsi di
riforme, correggendo quelle in atto nelle loro distorsioni più evidenti e
tenendo presente che non ha molto senso lamentarsi dell'emorragia di studenti
se si continua a sottrarre risorse al sistema universitario.
Post originariamente pubblicato su Roma3 Discute il giorno 18 marzo 2013
forse abbiamo capito che la laurea non serve per lavorare, serve di più una sana entratura politica :-)
RispondiEliminaValerio