Adesso che la bozza del nuovo Statuto di Roma Tre è stata trasmessa al Ministero per il parere previsto dalla Legge 240/2010, ritengo opportuno, nella mia veste di componente della Commissione che ha predisposto il nuovo Statuto, fare un bilancio dei lavori, con qualche commento sul percorso che ha portato a varare il testo definitivo.
I lavori della “Commissione Statuto” sono iniziati il 31 marzo 2011 e si sono conclusi il 20 ottobre, dopo l’esame delle correzioni suggerite dal Senato alla prima bozza votata il 19 luglio.
Anzitutto, va ricordato che gli organi di governo hanno conferito alle attuali Facoltà il maggior potere di scelta dei membri dei docenti che dovevano entrare a far parte della Commissione, anche se poi, con una votazione, Senato Accademico e Consiglio di Amministrazione hanno effettuato la scelta definitiva. Questo tipo di genesi della Commissione non è stato affatto privo di conseguenze e molte delle decisioni prese riflettono gli interessi e le preoccupazioni delle singole facoltà.
Fin dalla prima riunione sono emersi punti di vista diversi su come impostare i lavori: da una parte, c’è stata una tendenza delle autorità dell’Ateneo a depotenziare (o forse solo a non potenziare troppo) l’organo voluto dalla Legge 240 per stendere il nuovo Statuto; dall’altra, una buona parte dei membri della Commissione ha invece avvertito come
La prima è stata una certa insistenza (in documenti ufficiali e in interventi di autorevoli membri del Senato) sulla denominazione di “Commissione istruttoria”, che collocava il ruolo della Commissione al livello delle tante commissioni istruttorie a cui ogni organo collegiale dà vita in occasione di decisioni particolarmente delicate:
La seconda questione, da me sollevata verbalmente già nella prima riunione, ha riguardato la presenza di un Ufficio di Presidenza composto da 8 persone, oltre al Rettore nella sua qualità di membro effettivo e di Presidente della Commissione: il Prorettore Morganti, il Direttore amministrativo, il prof. Guido Corso in qualità di esperto e 5 funzionari come “supporto tecnico-amministrativo”. Due gli aspetti sollevati. Il primo era il fatto singolare che una Commissione composta di quindici membri dovesse avvalersi di un Ufficio di Presidenza e di supporto presente alle riunioni così affollato. Il secondo metteva in rilievo come, con un tale Ufficio di Presidenza, di fatto partecipassero ai lavori anche membri di organi centrali dell’Ateneo la cui presenza non era prevista dalla Legge 240/2010. Sul punto, però, la risposta del Rettore è stata ferma nel motivare la necessità di tale struttura, che pertanto è rimasta, accettata alla fine dalla stessa Commissione pur con qualche dubbio di legittimità.
La terza questione, infine, ha riguardato la proposta da parte del Rettore di organizzare i lavori dividendo
Gli snodi più controversi
Una volta superate le questioni di metodo,
Il rapporto tra dipartimenti e strutture di raccordo appare subito il nucleo fondante di tutta la riforma, anche perché introduce forse le modifiche più sostanziali dell’attuale fisionomia dell’Ateneo. Questo – è bene ricordarlo – è attualmente composto da 32 dipartimenti, 8 facoltà e oltre 900 docenti. Dei 32 dipartimenti, ben 21 sono al di sotto di 35 membri (dei quali 6 inferiori a 15). Vi sono poi 17 corsi di laurea e 28 lauree magistrali.
Altro tema “caldo” è stato quello delle modalità di elezione del CdA. Appare subito chiaro che tale organo potrebbe scaturire da tre diverse modalità di formazione. La prima è su designazione del Rettore, la seconda su elezione indiretta ad opera del Senato (ed è questa la proposta dell’Ufficio di Presidenza) e la terza per elezione diretta da parte del corpo elettorale. Ciascuna di queste modalità potrebbe contenere all’interno alcune varianti. Politicamente sconsigliabile la prima, per l’eccessivo potere attribuito alla carica monocratica, si è ritenuto la seconda del tutto in contraddizione con la legge. CdA e Senato hanno competenze diverse e
La questione delle aree è stato il terzo tema che ha portato via molto tempo alla Commissione. L’attuale divisione in quattro aree ha avuto forse il vantaggio di consentire l’articolazione di una migliore rappresentatività delle fasce nell’elezione del Senato, ma riproduce sofferenze manifestate spesso negli ultimi anni soprattutto da parte di certe facoltà; la soluzione a 8, fortemente appoggiata dai presidi. permette di salvaguardare continuità, identità e rappresentatività delle attuali facoltà, ma ha lo svantaggio (dati i numeri più piccoli) di rendere più difficile la rappresentatività per fasce. D’altra parte, sappiamo bene come nei sistemi elettorali la riduzione delle dimensioni dei collegi produca una minore rappresentatività delle minoranze e una maggiore selettività. Alla fine, ha prevalso una maggioranza a favore di 8 aree coincidenti con le attuali facoltà: dava più sicurezza. Il punto è stato poi parzialmente modificato dal Gruppo di lavoro del Senato, che lasciava ai regolamenti successivi la possibilità di introdurre collegi elettorali diversi dalle 8 aree. Tuttavia, nelle ultime riunioni della Commissione anche questa strada, che avrebbe consentito un minimo di flessibilità in più ad un sistema che rischia di essere troppo rigido, è stata chiusa con un voto a maggioranza.
La mobilità dei docenti si è imposta come un problema particolarmente delicato e dai numerosi risvolti.
L’ultima grave questione è stata quella delle disposizioni transitorie. Una prima versione varata in Commissione prevedeva una scadenzario temporale molto preciso: dipartimenti dopo 90 giorni dall’entrata in vigore dello Statuto, poi elezioni del Rettore, elezioni del Senato, formazione del CdA. Era stato previsto anche un comma (6, art. 50) per conferire un minimo di perentorietà a queste scadenze. L’obiettivo era di concludere la transizione in un anno dall’entrata in vigore dello Statuto. Il gruppo di lavoro del Senato ha invece cancellato ogni vincolo temporale. In sostanza, se in una prima versione erano state forse introdotte troppe scadenze, nell’articolato riscritto dall’Ufficio di Presidenza queste sono state tutte sistematicamente eliminate. Dopo molte discussioni,
Un commento finale
I lavori hanno proceduto in modo costruttivo e responsabile, anche se con qualche momento di notevole tensione. Ha prevalso, insomma, una comune volontà di non esasperare le tensioni legate alle differenze di opinione e di impostazione. Malgrado i dubbi iniziali di legittimità espressi sulla stessa composizione della Commissione, si è preferito andare avanti nei lavori in modo da non mettere l’Ateneo in difficoltà e non farlo arrivare a ridosso delle scadenze senza un testo di Statuto pronto. Grazie anche alle richieste pressanti di alcuni di noi fin dalle prime battute, il progetto di Statuto è stato sottoposto ad un minimo di vaglio e di discussione da parte dell’Ateneo.
La stesura conclusiva è frutto di un compromesso e i compromessi, si sa, pur necessari per arrivare a qualche decisione finale, non solo contengono spesso luci e ombre, ma a volte rischiano di essere il frutto di trattative un po’ anacronistiche, come quelle che hanno portato a fissare al 50% (art. 27) la quantità dei crediti formativi universitari previsti quali attività formative di base e caratterizzanti degli ordinamenti didattici dei corsi di studio che ogni nuovo Dipartimento dovrebbe mediamente coprire, secondo il progetto presentato, e a 180 giorni il limite temporale entro il quale devono essere formati i nuovi dipartimenti. In sostanza, la logica del compromesso finisce per ridurre a questioni di numeri scelte irriducibili ad una semplice dimensione quantitativa.
Malgrado che il nuovo Statuto presenti molti e importanti elementi di novità, anche in relazione alla tutela dei diritti attivi e passivi negli organi elettivi centrali e periferici, al bilancio sociale, alla valorizzazione delle pari opportunità, la mia impressione è che si è avuto poco coraggio. L’attuazione delle riforma Gelmini ha sottoposto e continuerà a sottoporre l’Ateneo ad un notevole stress interno, con dispersioni di energie e risorse. Forse, poteva essere questa l’occasione per innovare qualcosa, per attuare cambiamenti di cui si discute da anni. La sensazione che si ricava dalla conclusione dei lavori è che abbia prevalso una volontà di congelamento dell’esistente, che si siano privilegiate la stabilità, la continuità e forse anche la staticità dell’Ateneo. Forse si è dato troppo spazio a paure non sempre giustificate: paura della frammentazione delle strutture, paura della mobilità dei docenti, paura di destabilizzare l’offerta formativa, perfino paura di non riuscire a gestire gli aspetti logistici e organizzativi dell’offerta formativa. Si è preferito fare otto aree pensando alle vecchie Facoltà; si è addirittura introdotto un comma che “costituzionalizza” il nome Facoltà e decide quando e in che occasioni tale denominazione può essere utilizzata; si è anche tentato (per fortuna, senza riuscirci) di limitare ad 8 (numero magico!) le scuole e i dipartimenti non raggruppati in scuole e anche di limitare il numero dei dipartimenti (ma su questo punto nessuno si è azzardato a fare proposte perché qualsiasi numero avrebbe poi dovuto essere spiegato). Sulla mobilità dei docenti, poi, si è preferito rinviare ogni decisione ai futuri regolamenti, ma la soluzione che si profila anche qui è di stampo nettamente conservatore: se il Senato dovesse approvare regolamenti di questo tipo senza emendamenti, i docenti potrebbero venir attribuiti ai dipartimenti in cui svolgono la loro attività didattica, e ciò significherebbe che le “frontiere” sarebbero chiuse alle attuali Facoltà, se non addirittura agli attuali collegi didattici.
Insomma, la preoccupazione maggiore è stata soprattutto una: conservare, conservare, conservare, senza porsi il problema se ci fosse qualcosa da cambiare, trasformare, modificare, migliorare. Di questo non si è mai discusso. Due punti meritano poi un commento finale non incoraggiante. Il primo riguarda le disposizioni transitorie. Per disinnescare ogni vincolo temporale stabilito dalla Commissione al fine di governare con saggezza i tempi della ricostruzione delle strutture, si sono dette molte cose inesatte: che
In realtà, anche se durante i lavori in Commissione non lo si è mai detto esplicitamente (adesso, però, lo si ammette), l’intento era uno solo: rimandare l’entrata a regime dell’Ateneo alla fine del 2014. E’ stato del tutto inutile ricordare che passaggi storici molto più importanti sono durati meno:
L’ultimo commento è in realtà una constatazione amara e riguarda quella che è stata e continuerà ad essere la vera “cenerentola” del sistema universitario italiano: la ricerca. In Commissione non se ne è quasi mai parlato: la ricerca è stata la vera grande assente. Ogni volta hanno sempre predominato le preoccupazioni sulla didattica: si è voluto legare la rinascita dei dipartimenti non solo ad un progetto didattico, il che è logico, ma addirittura ad una quota percentuale (50%) dei crediti formativi previsti quali attività formative di base e caratterizzanti dagli ordinamenti didattici che in base al progetto presentato dovrebbero essere di pertinenza del dipartimento stesso. In sostanza: un dipartimento può anche avere un bellissimo progetto di ricerca, ma se non copre un certo numero di crediti non può costituirsi. Nella stessa afferenza dei docenti ai dipartimenti, il peso maggiore sarà quasi sicuramente (vedremo meglio nei regolamenti) quello dell’attività didattica, senza alcuna considerazione per gli orientamenti riguardanti la ricerca. Ancora una volta, dunque, la didattica prevale sulla ricerca: un vizio antico, duro a morire. Anche per questo,
Post originariamente pubblicato su Roma3 Discute il giorno 7 novembre 2011
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