AUGURI
A GIOVANNI SARTORI
Nel 2014 Giovanni Sartori compie novant'anni,
essendo nato a Firenze il 13 maggio 1924. Come racconta lui stesso,
nell'ottobre 1943 fu chiamato alle armi per prestare servizio nell'esercito
della Repubblica di Salò. Rimasto nascosto per 10 mesi (per i disertori la pena
era la fucilazione), si mise a studiare la filosofia: in particolare Hegel (mi
serviva un giorno per leggere 10, massimo 15 pagine di Hegel, scrive), ma anche
Gentile e Croce. Si è laureato in Scienze Politiche e Sociali nel 1946 a
Firenze. Divenuto assistente alla cattedra di Teoria generale dello Stato, tra
il 1950 e il 1956 ha insegnato Storia della filosofia: di quell'insegnamento
restano, tra le altre opere, i due volumi su Benedetto Croce, pubblicati nel
1997 con Il Mulino. Nel 1954 e nel 1955 prende la libera docenza in Storia
della filosofia moderna e in Dottrina dello Stato. L'approdo alla filosofia fu,
per Sartori, un «incidente di guerra»: «Io ero interessato alla logica, assai
meno ai filosofi. Ma la logica non veniva insegnata nelle università italiane
ed era anatema sia per la filosofia idealistica, sia per la dialettica marxista
(le scuole di pensiero dominanti)». Dal 1957, dopo alterne vicende, Sartori
approda all'insegnamento della Scienza politica, una disciplina nuova, vista
con sospetto dalla cultura dominante. Dal 1963 diviene l'unico professore
ordinario in Italia di questa materia. Rimane all'Istituto Cesare Alfieri di
Firenze fino al 1976. Fra il 1974 e il 1976 insegna anche all'Istituto Universitario
Europeo di Fiesole. Nel 1976 è chiamato alla Stanford University (1976-79) e
poi alla Columbia di New York, dove diviene Albert
Schweitzer Professor in the Humanities e dove rimane dal 1979 al 1994. Tra
il 1992 e il 1994 torna a insegnare a Firenze. Nel corso della sua lunga
carriera scientifica e accademica, Sartori ha ottenuto molteplici premi e
riconoscimenti internazionali. Dal 1975 è membro dell'American Academy of Arts
and Sciences e dal 1992 dell'Accademia dei Lincei.
Il lungo lavoro scientifico di Sartori si
sviluppa intorno a tre nuclei principali. Il primo riguarda la teoria politica,
in cui dominano i lavori sulla teoria democratica: da Democrazia e definizioni del 1957, fino a Democratic Theory del 1962, a The
Theory of Democracy Revisited del 1987 e a Elementi di teoria politica, sempre del 1987.
Un secondo nucleo riguarda la metodologia.
Sartori ha introdotto e sviluppato in Italia il metodo della comparazione e
l'analisi dei concetti, a partire dal famoso saggio pubblicato sul primo numero
della «Rivista italiana di scienza politica» nel 1971 (La politica comparata: premesse e problemi), fino al volume del
1979 (La politica: logica e metodo in
scienze sociali), all'introduzione (Guidelines
for Concept Analysis) nel volume del 1984 a cura dello stesso Sartori (Social Science Concepts: A Systematic
Analysis) e infine al recente libro del 2011 (Logica, metodo e linguaggio nelle scienze sociali). Alle sue
lezioni di metodo si sono formate le generazioni successive degli scienziati
politici italiani.
Infine, il terzo nucleo riguarda la politica
comparata, espressa al meglio nei vari lavori sui partiti (in particolare Parties and Party Systems del 1976) e
sulle istituzioni (nel più recente Comparative
Constitutional Engineering del 1994), oltre ai vari saggi, capitoli e
interventi sui sistemi elettorali, sui loro effetti sul sistema istituzionale e
sui sistemi partitici.
La scienza, ci ricorda Sartori, non è teoria
che si esaurisce nella ricerca, «ma anche teoria che si prolunga nell'attuazione
pratica: un progettare per intervenire, una prasseologia». Alla scienza pura
spetta il compito di elaborare e formulare le teorie, alla scienza applicata
quello di adattarle ai problemi di policy
in vista di una loro eventuale applicabilità e applicazione. Tutto il lavoro
scientifico di Sartori si fonda su questa duplice missione delle scienze
sociali e della scienza politica in particolare: da un lato, la costruzione di
una base conoscitiva adeguata (sulla democrazia, sul funzionamento delle istituzioni,
sui sistemi elettorali e i loro effetti, sui partiti e i sistemi partitici,
ecc.); dall'altro, l'idea di fondo dell'applicabilità delle teorie scientifiche
ai problemi pubblici. Il lavoro di Sartori è stato immane, anche perché ha
compiuto tutti i passi necessari per renderlo fruttuoso:
a) ha costruito la conoscenza teorica,
b) ha indicato le modalità migliori per la
sua applicazione, laddove reputava necessario e urgente farlo,
c) ha messo in evidenza effetti e conseguenze
delle decisioni pubbliche in relazione a certi problemi,
d) ha avuto anche la capacità e la pazienza
di spiegare sempre tutto anche in opere divulgative, sia in libri che in
articoli sulla grande stampa, al fine di sensibilizzare opinione pubblica e policy makers: a questo proposito va
ricordata la sua pluridecennale collaborazione al «Corriere della Sera» (che
ancora continua).
Alla fine, però, si è scontrato con una
condizione irrinunciabile per il successo di qualsiasi prospettiva
ingegneristica e cioè l'esistenza di autorità pubbliche realmente interessate a
fare uso delle prescrizioni dell'ingegneria politica. La prospettiva
tipicamente einaudiana della precedenza e dell'imprescindibilità del conoscere
sul fare non ha mai avuto grande successo in Italia e gli interventi di Sartori
sulla politica italiana, nonostante il rispetto e gli omaggi doverosi che gli
sono stati riservati, hanno per lo più costituito una vox clamantis in deserto. Mi verrebbe da dire, forse, che ne stiamo
vedendo gli effetti.
Studioso controcorrente, scomodo, mai
allineato, Sartori si è sempre tenuto lontano dalle sirene della politica e del
potere, preferendo così salvaguardare la propria indipendenza e autonomia.
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