giovedì 12 giugno 2014



AUGURI A GIOVANNI SARTORI

Nel 2014 Giovanni Sartori compie novant'anni, essendo nato a Firenze il 13 maggio 1924. Come racconta lui stesso, nell'ottobre 1943 fu chiamato alle armi per prestare servizio nell'esercito della Repubblica di Salò. Rimasto nascosto per 10 mesi (per i disertori la pena era la fucilazione), si mise a studiare la filosofia: in particolare Hegel (mi serviva un giorno per leggere 10, massimo 15 pagine di Hegel, scrive), ma anche Gentile e Croce. Si è laureato in Scienze Politiche e Sociali nel 1946 a Firenze. Divenuto assistente alla cattedra di Teoria generale dello Stato, tra il 1950 e il 1956 ha insegnato Storia della filosofia: di quell'insegnamento restano, tra le altre opere, i due volumi su Benedetto Croce, pubblicati nel 1997 con Il Mulino. Nel 1954 e nel 1955 prende la libera docenza in Storia della filosofia moderna e in Dottrina dello Stato. L'approdo alla filosofia fu, per Sartori, un «incidente di guerra»: «Io ero interessato alla logica, assai meno ai filosofi. Ma la logica non veniva insegnata nelle università italiane ed era anatema sia per la filosofia idealistica, sia per la dialettica marxista (le scuole di pensiero dominanti)». Dal 1957, dopo alterne vicende, Sartori approda all'insegnamento della Scienza politica, una disciplina nuova, vista con sospetto dalla cultura dominante. Dal 1963 diviene l'unico professore ordinario in Italia di questa materia. Rimane all'Istituto Cesare Alfieri di Firenze fino al 1976. Fra il 1974 e il 1976 insegna anche all'Istituto Universitario Europeo di Fiesole. Nel 1976 è chiamato alla Stanford University (1976-79) e poi alla Columbia di New York, dove diviene Albert Schweitzer Professor in the Humanities e dove rimane dal 1979 al 1994. Tra il 1992 e il 1994 torna a insegnare a Firenze. Nel corso della sua lunga carriera scientifica e accademica, Sartori ha ottenuto molteplici premi e riconoscimenti internazionali. Dal 1975 è membro dell'American Academy of Arts and Sciences e dal 1992 dell'Accademia dei Lincei.

Il lungo lavoro scientifico di Sartori si sviluppa intorno a tre nuclei principali. Il primo riguarda la teoria politica, in cui dominano i lavori sulla teoria democratica: da Democrazia e definizioni del 1957, fino a Democratic Theory del 1962, a The Theory of Democracy Revisited del 1987 e a Elementi di teoria politica, sempre del 1987.
Un secondo nucleo riguarda la metodologia. Sartori ha introdotto e sviluppato in Italia il metodo della comparazione e l'analisi dei concetti, a partire dal famoso saggio pubblicato sul primo numero della «Rivista italiana di scienza politica» nel 1971 (La politica comparata: premesse e problemi), fino al volume del 1979 (La politica: logica e metodo in scienze sociali), all'introduzione (Guidelines for Concept Analysis) nel volume del 1984 a cura dello stesso Sartori (Social Science Concepts: A Systematic Analysis) e infine al recente libro del 2011 (Logica, metodo e linguaggio nelle scienze sociali). Alle sue lezioni di metodo si sono formate le generazioni successive degli scienziati politici italiani.
Infine, il terzo nucleo riguarda la politica comparata, espressa al meglio nei vari lavori sui partiti (in particolare Parties and Party Systems del 1976) e sulle istituzioni (nel più recente Comparative Constitutional Engineering del 1994), oltre ai vari saggi, capitoli e interventi sui sistemi elettorali, sui loro effetti sul sistema istituzionale e sui sistemi partitici.
La scienza, ci ricorda Sartori, non è teoria che si esaurisce nella ricerca, «ma anche teoria che si prolunga nell'attuazione pratica: un progettare per intervenire, una prasseologia». Alla scienza pura spetta il compito di elaborare e formulare le teorie, alla scienza applicata quello di adattarle ai problemi di policy in vista di una loro eventuale applicabilità e applicazione. Tutto il lavoro scientifico di Sartori si fonda su questa duplice missione delle scienze sociali e della scienza politica in particolare: da un lato, la costruzione di una base conoscitiva adeguata (sulla democrazia, sul funzionamento delle istituzioni, sui sistemi elettorali e i loro effetti, sui partiti e i sistemi partitici, ecc.); dall'altro, l'idea di fondo dell'applicabilità delle teorie scientifiche ai problemi pubblici. Il lavoro di Sartori è stato immane, anche perché ha compiuto tutti i passi necessari per renderlo fruttuoso:
a) ha costruito la conoscenza teorica,
b) ha indicato le modalità migliori per la sua applicazione, laddove reputava necessario e urgente farlo,
c) ha messo in evidenza effetti e conseguenze delle decisioni pubbliche in relazione a certi problemi,
d) ha avuto anche la capacità e la pazienza di spiegare sempre tutto anche in opere divulgative, sia in libri che in articoli sulla grande stampa, al fine di sensibilizzare opinione pubblica e policy makers: a questo proposito va ricordata la sua pluridecennale collaborazione al «Corriere della Sera» (che ancora continua).
Alla fine, però, si è scontrato con una condizione irrinunciabile per il successo di qualsiasi prospettiva ingegneristica e cioè l'esistenza di autorità pubbliche realmente interessate a fare uso delle prescrizioni dell'ingegneria politica. La prospettiva tipicamente einaudiana della precedenza e dell'imprescindibilità del conoscere sul fare non ha mai avuto grande successo in Italia e gli interventi di Sartori sulla politica italiana, nonostante il rispetto e gli omaggi doverosi che gli sono stati riservati, hanno per lo più costituito una vox clamantis in deserto. Mi verrebbe da dire, forse, che ne stiamo vedendo gli effetti.
Studioso controcorrente, scomodo, mai allineato, Sartori si è sempre tenuto lontano dalle sirene della politica e del potere, preferendo così salvaguardare la propria indipendenza e autonomia.



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